La corrente di pensiero scientifico che caratterizza l’occidente è ormai giunto al capolinea, o forse sarebbe meglio dire, ad un incrocio. Infatti, finora, non è riuscito a trovare risposte esaustive ad una serie di problemi che vedono coinvolti all’unisono sia la salute fisica che quella mentale. La corsa alla mera soluzione dei problemi di salute fisica, che non tiene conto di tutta una serie di fattori fondamentali, quali l’aspetto psichico, quello emotivo e quello spirituale, ha creato una distanza tra l’essere umano, inteso come “corpo unico”, e la malattia. Sembra quasi che la malattia sia qualcosa di separato ed estraneo all’individuo. Il corpo stesso diventa un “accessorio”, qualcosa che non riconosciamo più. È lui ad ammalarsi ed è così complesso e difficile da comprendere ciò che gli sta succedendo, che ne rimaniamo distaccati, osservando da spettatori lo scenario, in attesa di conoscere il finale di un film che non abbiamo mai scelto di guardare.
In presenza di malattie, qualcosa, all’interno dell’organismo, smette di interagire con una serie di sostanze coinvolte in qualche sofisticato processo biochimico. “qualcuno”, nel corpo, smette di svolgere il suo lavoro, oppure decide, in maniera del tutto arbitraria, di svolgerne un altro senza però tener conto di eventuali danni collaterali che inevitabilmente, subiranno tutti “quelli” che “confidano” sul suo lavoro ben fatto.
Questa presa di posizione assolutamente arbitraria da parte di qualche sostanza organica, genera una serie di effetti spesso inaspettati ed incontrollabili non sempre di facile soluzione.
Non si può comprendere un fenomeno se non si esamina tutto ciò che ne è coinvolto. Si crede, utopisticamente, di poter diagnosticare e curare una malattia senza prima avere una comprensione delle condizioni generali, non solo dell’organismo, ma anche (e forse soprattutto), di quelle mentali e spirituali.
Se osserviamo più da vicino la natura, ci accorgiamo che alla base di ogni processo fisico o chimico, c’è lo stesso concetto, quello cioè del coagire e dell’interagire. Tutte le forme di vita sono reciprocamente dipendenti le une dalle altre: la molecola dipende dall’atomo e l’atomo dalla molecola; l’atomo dipende dall’universo e l’universo dall’atomo.
Tutto è sorretto da un meccanismo di interconnessione, che tiene unito il mondo così come siamo abituati a percepirlo. Non a caso spesso si dice che l’unione fa la forza.
Anche per le persone i meccanismi sono gli stessi.
Ma, se è vero che l’unione fa la forza, è anche vero che spesso la stessa forza è sinonimo di potere ed autorità.
Sono dell’idea che la capacità di riconoscere il proprio ruolo all’interno di un sistema, richieda una delle facoltà intellettuali più nobili dell’uomo, quella del raziocinio. Sappiamo tutti come questo si manifesti solo di conseguenza al buon uso del ragionamento e della riflessione, accompagnati da una buona dose di altruismo. Aspetti che, se carenti o del tutto assenti, all’interno di un gruppo “unito”, generano una serie di effetti “collaterali” simili a quelli che si manifestano all’interno dell’organismo quando un particolare enzima decide di omettere di fare il suo lavoro o di svolgerne un altro che non gli compete.
Direi quindi che se è vero che l’unione fa la forza, è vero anche che il raziocinio fa la differenza!
Catia Vela
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